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dOCUMENTA(13), reimmagginare il mondo attraverso l'arte

Ogni cinque anni la città di Kassel, in Germania, ospita l'avvenimento più importante al mondo nel campo delle arti visive: Documenta, una manifestazione, nata nel 1955, che nella passata edizione ha visto la presenza di più di 750.000 visitatori. La tredicesima edizione che si è tenuta dal 9 giugno al 16 settembre ha presentato le opere di 193 artisti provenienti da tutto il mondo.

Nico Zardo (testo e foto)

La proposta del suo direttore artistico Carolyn Christov-Bokargiev è stata di rimettere in gioco i presupposti culturali che concorrono alla creazione di un'opera artistica facendo di dOCUMENTA(13) non solo il momento di "presentazione" dei lavori di artisti considerarti rappresentativi (secondo la curatrice e i suoi collaboratori, naturalmente) ma anche l'occasione per ripensare ai tanti diversi aspetti, personali e sociali, che determinano questa forma di comunicazione visiva.

Oltre alla presentazione delle opere a Kassel, in 15 sedi sparse per la città, sono state organizzate esposizioni collegate a Kabul, Alessandria, Cairo e all'università di Alberta in Canada. Nelle intenzioni di rinnovamento del concetto di arte, il direttore artistico ha voluto raccogliere i contributi non solo di artisti ma anche di persone provenienti da diversi campi dalla scienza e all'agricoltura biologica, dalle energie rinnovabili alla filosofia, dalle teorie economiche e politiche al linguaggio, nell'intento di utilizzare tutte le forme di sapere e conoscenza valide e utili a reimmaginare il mondo. Impossibile vedere tutto, per la grande quantità di opere e la loro dislocazione: per dare un'idea vi racconto alcuni dei lavori che più mi hanno colpito.

 

Sono 377 i dipinti monocromio o a tinte tenui, tratti da immagini scelte da internet, che il cinese Yan Lei ha esposto coprendo tutte le pareti e attaccandole anche al soffitto di un ambiente di circa 100 mq. L'effetto è straniante perché ci ricorda, in modo amplificato, il bombardamento di sollecitazioni visive al quale quotidianamente siamo sottoposti e ci fa capire che vedere tante immagini tutte insieme equivale a... non vederne nessuna! Tutte simili e diverse sono le poetiche 900 cartoline raffiguranti mele e pere, dipinte tra il 1910 e 1960 da Korbinian Aigner (1885-1966), un prete di campagna della Baviera che venne imprigionato, a Dachau, per essersi opposto al nazismo e che, per sopravvivere, si mise a coltivare (e a dipingere) mele realizzandone diverse nuove specie, una delle quali porta ancora il suo nome.

Ancora dalla guerra (1939-1945) trae spunto l'installazione The Disobedient di Sanja Ivekovic che partendo dalla foto di un ufficiale nazista a guardia di un asinello, imprigionato in un recinto di filo spinato, che viene mostrato ai prigionieri destinati ai lavori forzati come esempio di disobbedienza da non seguire, collega questo strano fatto ad alcune esemplari biografie dalle persone che resistettero all'ingiustizia e all'oppressione nazista (tra queste Primo Levi, Jan Palach, Victor Jara). L'installazione si completa con una collezione di asinelli di pezza a sostegno dell'immagine del mite animale additato come sovversivo.

Immagini e sculture di visi deformati per ferite di guerra o operazioni chirurgiche, oggetti di origine bellica - recuperati nell'Africa post coloniale - ricostruiti e recuperati a uso quotidiano fanno parte di una impressionante installazione del francese Kader Attia nella quale le intenzioni di mostrare un parallelo tra le concezioni estetiche occidentali e africane si trasforma in realtà in una potente denuncia degli orrori della guerra.

 

Il "tempo" è presente in diverse opere: il famoso metronomo di Man Ray, ready made degli anni '30 che porta il ritaglio della foto dell'occhio dell'amata Lee Miller attaccato all'asta oscillante; e sempre dall'immagine del metronomo parte la video installazione del sudafricano William Kentridge, The refusal of time, dove si richiamano, con un magistrale carosello felliniano di silhouette animate, le contraddizioni tra il tempo di Newton, utile alla standardizzazione ottocentesca del lavoro e quello di Einstein, per il quale spazio e tempo diventano strettamente interdipendenti.

Un grande orologio che pur avendo una forma ellittica segna iltempo con precisione (ispirato a un quadro di G. Ulbricht del 1825) è il lavoro dell'albanese Anri Sala inserito nel giardino dell'Orangerie. Poco distante, in una costruzione multicolore, la messicana Julieta Aranda e il russo Anton Vidokle presentano la loro Time/Bank, un'organizzazione che propone lo scambio di opere d'arte, appunto sul modello delle banche del tempo, prescindendo quindi da sistemi monetari.

 

Ancora nei giardini dell'Orangerie troviamo Doing nothing garden, la collina alta 6 metri di Song Dong, realizzata con materiale di discarica ricoperto di terra coltivata con erbe aromatiche e fiori di campo, suggerisce che basterebbe poco per riciclare gli scarti che produciamo.

E poi Weave, opera di Massimo Bartolini: una vasca rettangolare (2 metri x 6, circa) posta a livello di terra, dove l'acqua viene mossa ritmicamente formando un'onda, che ci ricorda il modificarsi inarrestabile della natura.

 

La carta è ben presente nelle opere di dOCUMENTA(13): quattro per tutte. Il primo: l'imponente collage di Thomas Bayrle, dove migliaia di quadrati di carta (circa cm 20 x20), su cui è stampata una texture di piccoli aerei, vanno a formare l'immagine di un grande aereo (circa 15 m x 8).

Il secondo è il sorprendente lavoro di Geoffrey Farmer che ha realizzato una parete, lunga circa 40 metri, composta da silhouette di immagini di personaggi famosi tutte ritagliate dalla rivista Life nelle pubblicazioni dal 1935 al 1985. Osservando l'opera di Farmer, fruibile su due lati, in pochi attimi, si possono percorrere, attraverso le immagini, ordinate cronologicamente, cinquant'anni di storia. Terzo. Il danese Matias Faldbakken deve aver messo di cattivo umore gli impiegati della biblioteca pubblica, sita nel municipio di Kassel, perché giusto qui ha fatto la sua installazione. Partendo da sue ricerche su ordine e disordine, l'artista ha messo a soqquadro, facendoli cadere a terra disordinatamente i libri che erano su due scansie della biblioteca: il confronto con l'ordine teutonico che regna tutt'attorno è lampante. Quarto. Anche Paul Chang ha il pallino dei libri, ma per lui sono importanti solo le copertine cartonate che separa dalle pagine e usa come base dipingendo sopra campiture di colore o disegni minimalisti. La relazione tra il titolo originale del libro e gli interventi dell'artista creano piacevoli inaspettate suggestioni. La grande varietà delle tematiche in campo, le tecniche e le situazioni tanto differenti costituiscono per il visitatore di dOCUMENTA(13) una preziosa opportunità a riconsiderare l'arte visiva come un utile strumento di riflessione su quanto succede attorno a noi e ci riconferma la validità della frase iniziale della poesia di Farmer, esposta a Kassel: "anche quando pensi di aver messo in mostra tante cose hai fatto vedere poco".

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